Volgere lo sguardo alla Storia, all’Arte, in un paese il cui popolo “conversa quotidianamente con il cortile di Palazzo Ducale”, equivale a tornare a riflettere sulle proprie radici per trovare in esse una via d’uscita dalla crisi della nostra epoca e della nostra società, individuare dei modelli, degli esempi su cui fare affidamento per rimettersi in discussione e ricominciare.
C’è un legame inscindibile fra passato, presente e futuro e Philippe Daverio, noto critico d’arte, conduttore televisivo e docente di architettura all’Università degli Studi di Palermo, è riuscito perfettamente ad illustrarlo nella Lectio Magistralis tenuta venerdì 14 febbraio all’Accademia di Belle Arti di Venezia in occasione della cerimonia d’inaugurazione dell’anno accademico.
C’è un legame inscindibile fra passato, presente e futuro e Philippe Daverio, noto critico d’arte, conduttore televisivo e docente di architettura all’Università degli Studi di Palermo, è riuscito perfettamente ad illustrarlo nella Lectio Magistralis tenuta venerdì 14 febbraio all’Accademia di Belle Arti di Venezia in occasione della cerimonia d’inaugurazione dell’anno accademico.
Il suo discorso è stato preceduto dagli interventi di Luigi Rossini, Presidente dell’Accademia, Carlo Di Raco, Direttore, Filippo Rizzonelli, Rappresentante della Consulta degli Studenti e Angela Vettese, Assessore alle Attività culturali del Comune di Venezia. Luigi Rossini e Carlo di Raco nella loro introduzione hanno ricordato le recenti attività dell’Accademia, dalle collaborazioni con il teatro La Fenice e Malibran per la realizzazione delle scenografie ai Laboratori aperti di Pittura e Disegno di Forte Marghera.
Entrambi hanno messo in risalto, in particolare, come l’Accademia sia fortemente radicata all’interno del territorio e allo stesso tempo attiva a livello internazionale, come dimostra la collaborazione con le Accademia di Sofia, Madrid e del Belgio per la realizzazione di una mostra ai Magazzini del Sale. Il rappresentante degli studenti ha espresso particolare soddisfazione per la capacità dell’Istituto di coniugare studio e manualità attraverso i laboratori, ma ha evidenziato anche alcuni punti critici, quali la mancanza di una politica adeguata per la risoluzione dei disagi causati agli studenti dall’assenza di un collegamento diretto fra la sede centrale e l’Isola di San Servolo. Infine Angela Vettese si è soffermata sulla centralità della figura dell’artista nella nostra società e sulla necessità di sfruttare sapientemente talento e creatività per fornire ad essa un importante contributo.
La parola poi è passata a Philippe Daverio, inconfondibile nel suo eccentrico abbigliamento: giacchetta verde di velluto, papillon rosso ed occhiali tondi. Il suo discorso ha preso le mosse da un’entusiasta e provocatoria affermazione: “Io sono qui oggi per convincere voi giovani a fare la Rivoluzione”. Una rivoluzione culturale, sì, ma anche politica e sociale, nella quale i giovani artisti riescano ad emergere riappropriandosi dei propri spazi ed inserendosi sempre più nel mondo lavorativo. Certo, anche le istituzioni dovrebbero adoperarsi di più per i nostri giovani, dal momento che: “L’Italia è un paese carogna, è l’unico a insegnare ai propri giovani ad aprire le ali, posizionarli sul nido e poi, quando sono pronti a volare, a tirarli giù con una schioppettata”. Con la sua verve e mordacità, dunque, Daverio ha tracciato un lucido quadro dell’attuale situazione italiana, facendo sempre riferimento, però, al passato. Passando della Catilinarie di Cicerone al Viaggio in Italia di Goethe ha mostrato, infatti, l’incrollabile conservatorismo italiano, contrapponendo ad esso la necessità di un’azione radicale e risoluta. Per farlo però, si deve ripartire proprio dall’arte, dalla cultura, dal momento che come sostiene il principe Myskij nell’Idiota “l’estetica (non la bellezza!) salverà il mondo”. Dopotutto l’ Italia ha conosciuto un importante precedente: Cosimo Elvezio, ricco e potente banchiere fiorentino, nel XV secolo si trovò a gestire la questione di un’importante credito che la Signoria vantava sulla Corona d’Ungheria ed accettò da essa come pagamento ben 28.000 libri, che andarono ad arricchire la già ricchissima collezione della Biblioteca Medicea Laurenziana e contribuirono notevolmente allo sviluppo umanistico - rinascimentale della capitale medicea e all’affermazione dell’Italia del Cinquecento come punto di riferimento nel campo del sapere e delle arti.
Sulla cultura dovrebbe puntare di più la stessa Venezia, che per le sue potenzialità potrebbe aspirare a diventare, per Daverio, “terza capitale d’Europa” dopo l’incantevole Strasburgo e la grigia e triste Bruxelles. È un’utopia? Probabilmente sì, ma come lui afferma “ sono sempre stato un sostenitore delle utopie nella lotta contro le ideologie”.
Entrambi hanno messo in risalto, in particolare, come l’Accademia sia fortemente radicata all’interno del territorio e allo stesso tempo attiva a livello internazionale, come dimostra la collaborazione con le Accademia di Sofia, Madrid e del Belgio per la realizzazione di una mostra ai Magazzini del Sale. Il rappresentante degli studenti ha espresso particolare soddisfazione per la capacità dell’Istituto di coniugare studio e manualità attraverso i laboratori, ma ha evidenziato anche alcuni punti critici, quali la mancanza di una politica adeguata per la risoluzione dei disagi causati agli studenti dall’assenza di un collegamento diretto fra la sede centrale e l’Isola di San Servolo. Infine Angela Vettese si è soffermata sulla centralità della figura dell’artista nella nostra società e sulla necessità di sfruttare sapientemente talento e creatività per fornire ad essa un importante contributo.
La parola poi è passata a Philippe Daverio, inconfondibile nel suo eccentrico abbigliamento: giacchetta verde di velluto, papillon rosso ed occhiali tondi. Il suo discorso ha preso le mosse da un’entusiasta e provocatoria affermazione: “Io sono qui oggi per convincere voi giovani a fare la Rivoluzione”. Una rivoluzione culturale, sì, ma anche politica e sociale, nella quale i giovani artisti riescano ad emergere riappropriandosi dei propri spazi ed inserendosi sempre più nel mondo lavorativo. Certo, anche le istituzioni dovrebbero adoperarsi di più per i nostri giovani, dal momento che: “L’Italia è un paese carogna, è l’unico a insegnare ai propri giovani ad aprire le ali, posizionarli sul nido e poi, quando sono pronti a volare, a tirarli giù con una schioppettata”. Con la sua verve e mordacità, dunque, Daverio ha tracciato un lucido quadro dell’attuale situazione italiana, facendo sempre riferimento, però, al passato. Passando della Catilinarie di Cicerone al Viaggio in Italia di Goethe ha mostrato, infatti, l’incrollabile conservatorismo italiano, contrapponendo ad esso la necessità di un’azione radicale e risoluta. Per farlo però, si deve ripartire proprio dall’arte, dalla cultura, dal momento che come sostiene il principe Myskij nell’Idiota “l’estetica (non la bellezza!) salverà il mondo”. Dopotutto l’ Italia ha conosciuto un importante precedente: Cosimo Elvezio, ricco e potente banchiere fiorentino, nel XV secolo si trovò a gestire la questione di un’importante credito che la Signoria vantava sulla Corona d’Ungheria ed accettò da essa come pagamento ben 28.000 libri, che andarono ad arricchire la già ricchissima collezione della Biblioteca Medicea Laurenziana e contribuirono notevolmente allo sviluppo umanistico - rinascimentale della capitale medicea e all’affermazione dell’Italia del Cinquecento come punto di riferimento nel campo del sapere e delle arti.
Sulla cultura dovrebbe puntare di più la stessa Venezia, che per le sue potenzialità potrebbe aspirare a diventare, per Daverio, “terza capitale d’Europa” dopo l’incantevole Strasburgo e la grigia e triste Bruxelles. È un’utopia? Probabilmente sì, ma come lui afferma “ sono sempre stato un sostenitore delle utopie nella lotta contro le ideologie”.
Paola Paudice